Su un battello che solca le acque del Lago Ladoga, nei pressi di San Pietroburgo, irrompe la figura imponente di Ivan Sever’janyč Fljagin, un gigante in abiti monacali, dalla “gradevole e manierata voce di basso” .
Promesso a Dio dalla madre dopo la sua nascita, Ivan ha trascorso la vita inseguendo un destino che sembrava sfuggirgli continuamente Racconta la propria esistenza come una serie di peripezie — viaggi in vaste steppe e villaggi remoti, incontri con nomadi, servi della gleba, ladri, prostituti, mercanti, principi, soldati — in cui ha rischiato la vita più volte senza rimetterci un solo giorno: un vero e proprio “incantesimo” di sopravvivenza.
Il racconto, strutturato come una matrioska di storie dentro storie, scorre con ritmo di leggenda popolare, sporca e bella insieme: la voce orale del narratore spicca in ogni pagina, restituendo al lettore la sensazione di ascoltare una fiaba intorno al fuoco. Tra le figure che lasciano il segno, spicca la zingara Gruša, descritta come “una serpe lucente”, che incarna l’enigma della vita e della morte.
In questo percorso, Ivan oscilla tra crudezza e bontà, tra la sua natura umana e un’intuizione profonda del divino. La sua narrazione rivela un universo permeato da fede ortodossa e da un’idea di salvezza universale — perfino per chi è stato dannato — come affermano le dottrine early‑church e la spiritualità russa .
Il romanzo si conclude con una trasformazione: Ivan, finalmente entrato in convento, riceve il dono della profezia — la chiamata a prendere le armi — ma il tono rimane sospeso, sospeso tra la cronaca popolare e il mistero metafisico