È sempre Vigàta lo sfondo in cui Andrea Camilleri incastona le sue storie e i suoi personaggi di ogni tempo che, con le loro maschere, costituiscono l’inventario di una Sicilia dalle inesauribili sfaccettature, un repertorio che suscita riso o pietà, e sempre forte coinvolgimento. Sono storie condite dall’elemento fiabesco e mitico, dove domina un’umanità solidale filtrata da una chiave ironica e burlesca.
Così è anche in questo racconto tratto da Gran Circo Taddei e altre storie di Vigàta. Ninuzzo Laganà, rimasto senza padre a ventotto anni a gestire l’impresa di famiglia, è ora in cerca di moglie per assecondare il desiderio della madre malata. È grazie alla cameriera Rosalia che trova una donna a lui congeniale, una con la «facci di mogliere», che per Ninuzzo «stava a significari che la picciotta non era né beddra né laida e che aviva un corpo graziuso ma non tali da fare voltari i mascoli. ’Nzumma, una che sarebbi stata capace d’abbadari matina e sira alla casa e ai figli senza aviri mali pinseri verso qualichi altro omo». Un’indole misteriosa si nasconde però sotto il viso rassicurante, e sarà il merlo parlante, regalato a Ninuzzo in forma anonima, a insinuargli il tarlo del dubbio.
Un racconto compiuto, perfetto, capace di affabulare, e contribuire alla definizione del grande romanzo di Vigàta.
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