Nel dibattito pubblico sull’aborto, le voci maschili spesso risuonano con un’eco ambigua: a volte paternaliste, a volte giudicanti, più raramente solidali. Ma cosa accade quando un uomo sceglie di prendere parola per schierarsi non al posto, ma a fianco delle donne, riconoscendo la complessità e la responsabilità che l’aborto comporta? Il libro di Adriano Sofri, Contro Giuliano. Noi uomini, le donne e l’aborto (Sellerio, 2023), rappresenta un raro esempio di questo tipo di presa di parola maschile, etica prima ancora che politica.
Partendo da una dichiarazione di Giuliano Ferrara del 2008 — quando l’ex direttore del Foglio lanciò una campagna per una “moratoria sull’aborto” — Sofri decide di rispondere con un libro che è insieme diario civile, memoir, e meditazione sul ruolo degli uomini nei processi decisionali legati alla maternità (e non maternità).
Il titolo è già una dichiarazione di intenti: Contro Giuliano, non tanto per ragioni personali, ma come gesto simbolico contro una retorica che tende a giudicare e normare i corpi e le scelte femminili dall’esterno, senza assumerne il peso esistenziale. Sofri, invece, tenta un’operazione diversa: si interroga sul ruolo maschile, lo smaschera nelle sue ipocrisie, lo espone nella sua fragilità, lo pone davanti allo specchio della responsabilità condivisa.
Nel libro, l’autore ripercorre esperienze personali, episodi storici e riflessioni filosofiche. Parla di donne che hanno scelto di abortire e di uomini che, come lui, sono stati coinvolti, direttamente o meno, in quelle decisioni. Senza mai voler “appropriarsi” di un dolore che non gli appartiene fino in fondo, Sofri costruisce una narrazione in cui la partecipazione maschile è possibile solo se è rispettosa, consapevole e, soprattutto, non invasiva.
Nel contesto di una biblioteca comunitaria — luogo di ascolto, condivisione e formazione critica — un libro come Contro Giuliano può diventare uno strumento utile per avviare una conversazione ampia e plurale. Può servire per chiedersi: perché gli uomini parlano di aborto? Con quali intenzioni, con quali parole, con quali silenzi?
L’invito è dunque a leggere questo libro non come una “contro-narrazione” maschile, ma come una voce che cerca di rompere il silenzio maschile complice o indifferente, senza scivolare nell’appropriazione o nella colpevolizzazione. È una voce che dice: noi uomini ci siamo, se volete, per ascoltare, per assumere la nostra parte di responsabilità, per non tirarci indietro quando il corpo delle donne diventa il campo di battaglia della politica o del moralismo.
In biblioteca, questa riflessione trova casa. E da lì può partire un dialogo nuovo, fatto di rispetto, empatia e ascolto reciproco — in cui anche gli uomini imparano a stare, con misura e giustizia.